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Il Monferrato e le Langhe

Il Monferrato e le Langhe

IL TERRITORIO

Il Monferrato, compreso principalmente tra le provincie di Asti e Alessandria, si estende su un’area di circa 300.000 ettari, che dalla parte della piana del Po giunge fino all’Appennino ligure.

Confina a sud con le regioni delle Langhe e del Roero, a nord est con la regione lombarda della Lomellina, od ovest con le colline torinesi e ad est con la pianura alessandrina. Il Monferrato è un territorio che è più territori: questa regione piemontese si suddivide infatti in tre principali aree geografiche:

Basso Monferrato (o Casalese)

Si caratterizza per le sue morbide colline che , ad esclusione del Sacro Monte di Crea, non raggiungono mai altezze superiori ai 400 metri; territorialmente comprende la parte della provincia di Alessandria consistente nei paesi che gravitano attorno a Casale Monferrato, una delle capitali storiche di questo territorio. Viene delimitata a nord e a est dal corso dei fiumi Po e Tanaro. Il territorio rappresenta una commistione tra il paesaggio collinare e la pianura che si caratterizzano, rispettivamente, per la coltivazione vitivinicola e quella risicola. Numerosi sono i castelli cosi come caratteristici sono i borghi spesso contraddistinti dalla tipica “Pietra da Cantone” di cui sono costituiti.

Monferrato Astigiano

Identifica buona parte della provincia di Asti (ad eccezione della Langa Astigiana) ed è caratterizzato da una conformazione prevalentemente collinare e da diversi borghi storici quali ad esempio Moncalvo, Grazzano Badoglio, Montemagno, Montiglio a nord del fiume Tanaro Nizza Monferrato, Mombaruzzo, Incisa Scapaccino, Bruno, Fontanile a sud. Asti è il cuore geografico di questo macro-territorio, delimitato a sud della valle del fiume Belbo e ad ovest approssimativamente dal percorso del torrente Versa e alla cui destra orografica si localizza quell’area che anticamente veniva denominata Astasana.

Alto Monferrato

Si estende verso sud a partire dalla Val Bormida sino ai piedi dell’Appennino Ligure; viene delimitato ad ovest dalla valle della Bormida di Spigno e ad est dalla porzione occidentale della media valle Scrivia. Il centro principale è Acqui Terme nella zona Ovest ed Ovada e Gavi in quella Est, è rinomato per i propri vini, territori e castelli. Le terre dell’ovadese sono, si può dire da sempre, vocate alla coltivazione della vite e alla produzione di un ottimo vino, innumerevoli testimonianze di questa affermazione sono rintracciabili fra i documenti delle varie epoche.

L’Alto Monferrato produce vini DOC di massimo pregio ed ha ben tre vini DOCG: il GAVI a Est, il più pregiato dei bianchi piemontesi, l’OVADA al centro, essenza e nobiltà del rosso Dolcetto e l’ALTA LANGA in collina sopra i 250 metri di altitudine, lo spumante metodo classico di qualità.

Oltregiogo

Oltregiogo: una terra ricca di nobili castelli

(Genovese-Ligure)

Otra Zovo àn castele e homi chi son valenti e sì prudomi, e tanta atra forte terrachi i enemixi de for serra,»

(IT)

«Nell’Oltregioco [i Genovesi] hanno castelli e uomini talmente forti e valorosi, e così tanti altri luoghi fortificati, che bloccano i nemici che vengono dall’esterno.»

(Anonimo Genovese, XIII-XIV sec.)

Oltregiogo (anche Oltregiovo o Oltregioco, Ôtrazovo in ligure) è una regione storica che si trova a ridosso delle attuali Liguria e Piemonte. Si estende su parte dell’appennino ligure a nord di Genova e sulle sue propaggini collinari, oltre lo spartiacque appenninico (superato attraverso il passo dei Giovi, il passo della Bocchetta ed il passo del Turchino). Insiste fra la città metropolitana di Genova e le province di Alessandria, Piacenza e Pavia. Si tratta di quei territori che anticamente appartenevano alla Repubblica di Genova ed ai Feudi Imperiali confinanti, che con essa avevano rapporti di federazione o erano di proprietà di cittadini genovesi.

 

 

II CASTELLI dell'Alto Monferrato”

Nell’Alto Monferrato ogni paese ha il suo castello e spesso sono perfettamente conservati. Le strade lambiscono gli ingressi dei Castelli che sono lì a ricordare antiche supremazie di nobili sul paese, alcuni si sono trasformati in marchi prestigiosi di aziende, altri sono mantenuti nelle condizioni originarie ed altri sono diventati centri per banchetti concedendo le loro sale a feste e manifestazioni dei paesi.

Noi vogliamo ricordare, tra i tanti alcuni gioielli che sono in prossimità delle terre dei vini che vogliamo promuovere, forti come sono i vini che sono prodotti nelle terre che li circondano.

Castello di CASALEGGIO”

Il Castello di CasaleggioA Casaleggio, con una piccola deviazione dalla provinciale che attraversa il paese, in direzione dei laghi della Lavagnina – parco delle Capanne di Marcarolo, si raggiunge in pochi minuti il castello, risalente al secolo X, è il più antico della zona (già da lontano, la vista del castello di Casaleggio è una delle esperienze più significative di una visita ai castelli genovesi dell’Alto Monferrato. Per chi infatti percorre la «strada dei castelli» venendo da Gavi o da Ovada, la gran massa dell’edificio si scorge già da lontano, discendendo da Mornese o da Tagliolo, in un paesaggio ancora perfettamente integro, con un senso di mistero.

Il castello di Casaleggio, infatti, non è inserito come tutti gli altri in un borgo ma è isolato, arrampicato sul fianco di una collina, circondato da una natura pressoché incontaminata, a tratti selvaggia, che gli conferisce un’aura di mistero e con una piccola chiesa ai suoi piedi che contribuisce a creare un’impressione d’imponenza superiore a quella reale dell’edificio.

IL CASTELLO DORIA

Prendendo la via in direzione Gavi, all’uscita del paese, si incrocia il castello di Mornese.

Il Castello di Mornese o Castello Doria
L’imponente Castello sorge su di un poggio che domina l’abitato e tende la vista alle sottostanti abitazioni dai caratteristici tetti rossi, nate attorno alla sua mole e che costituiscono quella parte di paese denominata Borgoalto.

Al Castello si accede per un’erta, partendo dalla piazzetta sulla quale prospetta la casa sorta sull’area dell’antico edificio comunale con loggia. Nel 1404 le truppe genovesi posero l’assedio alla fortificazione, la occuparono e la distrussero non lasciando altra traccia oltre alle muraglie che oggi racchiudono il giardino della nuova costruzione.

Il Castello venne infatti ricostruito pochi anni dopo dai Genovesi stessi. La veste con cui si presenta oggi la costruzione risale al XVIII secolo. Ciò che contraddistingue il Castello di Mornese è soprattutto la pianta, piuttosto articolata, testimone delle modifiche urbanistiche avvenute nei secoli che hanno integrato la sua originaria struttura. L’aspetto signorile del giorno d’oggi e la sua perfetta conservazione, a tutt’oggi di proprietà della famiglia Doria, rendono all’antico edificio un’immagine moderna di una nobile dimora abitata.

IL CASTELLO di MONTALDEO

Il Castello di Montaldeo: un gioiello dell'Alto Monferrato

Dalle tenute dei Baldi e tenuta Veritas, seguendo sempre la strada provinciale 175, bastano appena 10-15 minuti, in auto o moto, per arrivare a Montaldeo un piccolo nucleo medioevale sovrastato dal castello eretto nel 1271, dopo che già una volta, cinquant’anni prima, era stato distrutto dai Genovesi. Montaldeo rappresentava infatti un baluardo del governo di Alessandria sempre più minacciato dalle mire espansionistiche della Repubblica genovese.

Il castello sorge su un alto basamento che ne accentua l’imponenza. Nonostante il basamento fortificato, con garrite e posto di guardia, e il percorso di gronda aggettante sulla sommità dell’edificio, si tratta sostanzialmente di una dimora signorile e non di un baluardo difensivo.

L’impianto a blocco è tra i più leggibili e ben inseriti nel paesaggio: il castello di Montaldeo è visibile e chiaramente riconoscibile da ogni lato anche da una grande distanza.

All’interno sono conservati arredi antichi ed armi mentre nei sotterranei un intricato groviglio di scalette, corridoi e trabocchetti conduce alle celle dell’antica prigione.

Nei primi decenni del 1500, sullo sfondo di una estrema miseria, il castello fu teatro di una rivolta nei confronti della famiglia Trotti (al cui nome, quasi per ironia, è più spesso associato il castello) che aveva governato e perpetrato soprusi per circa un secolo: uomini, donne e anche i fanciulli appartenenti alla signoria vennero trucidati.

In seguito alla restaurazione del potere, allora in mano gli Sforza, i congiurati vennero condannati alla confisca dei beni e all’esilio: una pena mite per quei tempi, segno che forse agli Sforza era chiaro da quale parte fosse la ragione.

In ogni caso dopo pochi anni il castello entrò a fare parte dei possedimenti della famiglia genovese dei Doria che ne mantiene la proprietà tutt’oggi.

Il castello è elemento importante per lo sviluppo dei vigneti e dei vini della zona, infatti, presumibilmente intorno al 1782 i frutti del Castello di Montaldeo finirono nelle Americhe del sud per opera dei discendenti del principe-ammiraglio della Repubblica di Genova (Andrea Doria) e in seguito, nel 1869, quando si inizia a parlare del Cortese come uva adatta alla spumantizzazione.

Durante i mesi estivi il castello è abitato dall’attuale proprietario, il marchese Clemente Doria, discendente della famiglia, che per secoli ha dominato il paese, il quale, con atto di liberalità, mette a disposizione della Comunità i cortili inferiori e i giardini, per manifestazioni di intrattenimento organizzate dalla Pro Loco.

GAVI e il suo FORTE

I nomi che vogliamo narrare, Gavi e Cortese, sono da ricercare nella storia della Principessa Gavia. Si narra che con la sua cortese bellezza ispirò il borgo in cui trovò riparo fuggendo dalle ire del padre Clodomiro (Re di Francia) causato da un amore negato. Nel percorso tra le verdi colline del Gavi si ascoltano le temperature e gli umori dei venti della vicina Liguria, dal Levante allo Scirocco, o dal Libeccio al Ponente, e i filari di Cortese (residente qui dal 3 giugno 972 d.C a La Meirana) seguono le curve delle strade che si scontrano con le Ville e i Castelli del circondario appartenenti alle famiglie nobili come quelle dei Guasco, dei Doria, degli Spinola, i Pallavicini, i Grimaldi, artefici dello sviluppo e del commercio dell’intera area.

Poi il forte, il primo atto che testimonia dell’esistenza di un castello è un documento notarile risalente all’anno 973. Un successivo diploma imperiale firmato da Enrico VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa, conferma – alla data del 30 maggio 1191 -la donazione in feudo alla Repubblica di Genova sia del castello che del vicino borgo di Gavi.

Il castello rimase in mano ai genovesi, sia pure con alterne vicende, almeno fino al 1418 quando passò dapprima alla Signoria milanese dei Visconti, poi ai Fregoso e infine agli alessandrini Guasco, signori di Francavilla. I Guasco rimasero signori di Gavi fino al 1528: in quell’anno il castello fu venduto nuovamente alla Repubblica di Genova per moneta coniata dal Banco di San Giorgio (mille luoghi la cifra pattuita). Solo in epoca napoleonica, Genova – cui l’avamposto dell’oltregiogo serviva come difesa avanzata al di là dell’Appennino ligure – fu costretta a rinunciare a quella che era diventata la fortezza gaviese.

Nel corso dei secoli la trasformazione da castello a forte è stata lenta ma costante: i primi interventi radicali sulla struttura originaria vennero compiuti nel 1540 dall’ingegnere militare al servizio della Repubblica Giovanni Maria Olgiati.

Il successivo progetto avviato nel 1626 (e portato a termine tre anni dopo) dal frate Gaspare Maculano detto fra Fiorenzuola, che operava in collaborazione con l’architetto genovese Bartolomeo Bianco, dotò la struttura di sei inespugnabili bastioni detti di Santa Maria, di San Giovanni Evangelista, di Mezzaluna, di San Bernardo, di San Tommaso (o di Passaparola) e di Sant’Antonio (o dello Stendardo), uniti fra di loro da robuste cortine munite di cannoniere. Risalgono al 1673, le fortificazioni sul colle accanto (Ridotta di Monte Moro).

Oggetto delle mire espansionistiche dei sovrani sabaudi, il forte di Gavi subì diversi assedi: fu assalito ed espugnato una prima volta nel 1625 dalle forze franco-savoiarde. Riconquistato dai genovesi dopo soli ventuno giorni, ne fu decisa al termine della guerra la trasformazione in fortezza, più adeguata a resistere alle artiglierie dell’epoca (progetto di fra Fiorenzuola).

Attaccato nuovamente nel 1746 dagli austriaci (vedi Portoria e Giovan Battista Perasso), si arrese su sollecitazione della stessa Genova. Nel 1799, dopo la battaglia di Novi, restò uno dei pochi capisaldi ancora in mano ai francesi. Passato alla Francia nel 1804, fu infine attribuito al Regno di Sardegna dal Congresso di Vienna del 1815.

Disarmato nel 1859, il forte fu trasformato in penitenziario civile. Durante la seconda guerra mondiale fu poi utilizzato come campo di prigionia per gli ufficiali anglo-americani. Alla fine del conflitto è rimasto in disuso fino al 1978, anno in cui ha preso avvio il progetto di recupero.

GAVI e il suo VINO

Gavi ed il vino bianco di qualità sono ormai sinonimi. Prima il vino fermo che ha conquistato la DOC e poi la DOCG con la propria particolarità e poi la spumantizzazione, infatti l’ostinato enologo francese, Luigi Oudard, già nel 1869, allora curatore delle cantine del conte di Cavour a Grinzane, che guarda a caso gestiva i suoi traffici a Genova, scelse di utilizzare proprio questa “cortese” acidità nelle sue cantine per l’elaborazione dei suoi Spumanti. E da lì l’escalation non si è mai fermata. Si sbarca in Argentina, in Germania e in Svizzera con tanto di menzione nell’opera di Pulliat, “Le Mille Varietés de Vignes” (1888). Superati le crisi economiche scaturite dai conflitti mondiali ed ambientali (fillossera) sono arrivati il riconoscimento della DOC, nel 1974, e della DOCG, nel ’98.

Nel “perimetro Gavi”, il vino è sempre stato sinonimo di “gusto economico” e simbolo della presenza, del territorio, gestito e governato e quindi compreso e poi modificato. E quando i desideri sono rivolti in una sola direzione, condivisa, il veicolo preposto può trasportali tracciando la rotta giusta, senza troppi vincoli. Ed è proprio quello che ha fatto il Consorzio di Tutela del Gavi, dal 1993. La strada per valorizzarlo parte con la ricerca e la selezione interna dei migliori esemplari di Cortese, nel 1997, con un progetto curato dagli esperti del CNR di Torino e procedere, per primi, in Piemonte ed ufficialmente, alla verifica sotto il profilo catastale ed ampelografico delle uve ed inserirle in una mappa scientifica (2007) atta a catalogare e definire le vocazioni dei singoli appezzamenti. E una volta pronti bisogna promuoversi e quindi nasce prima il progetto GAVI972 e poi “Storie del Gavi” con il Premio Gavi alla Buona Italia assegnato dal 2015. Ed essendo la tutela e la promozione erga omnes, è arrivata l’etichetta istituzionale: ogni anno una commissione di esperti seleziona il vino più rappresentativo del Gavi.

Un fenomeno dell’era moderna che trae le origini nel medioevo. E lo stesso concetto vale per la cucina e la sospensione temporanea dei pensieri quando si assaggiano grandi piatti della tradizione (originali) o rivisitati e quindi contemporanei grazie a pennellate estetiche e tecnologiche, create dall’uso delle tecniche molecolari. Bisognerebbe creare un concetto nuovo in grado di abbracciare la tradizione, la tecnologia e i gusti rappresentativi, tutti, del terroir. Una sinergia gustativa del tempo.

Il Cortese oggi si produce in 1500 ettari spalmati in 11 comuni (di Bosio, Capriata d’Orba, Carrosio, Francavilla Bisio, Gavi, Novi Ligure, Parodi Ligure, Pasturana, San Cristoforo, Serravalle Scrivia, Tassarolo) a soli trenta chilometri dal mare. È un exploit importante, quello del Gavi, con un 41% in più di superficie vitata in dieci anni unito alla crescita del numero di aziende (440) tra produttori, vinificatori e imbottigliatori che impiegano 5000 persone nell’intera filiera per un totale di circa 55 mln di fatturato (85% export) a distributori (on trade). Un circuito ormai solido e ricco che fa tappa e si registra come “top seller” in Germania, Giappone, Inghilterra, Russa e Usa. E il vino? L’uva Cortese ha grappolo medio-grande, robusto, produttivo e di spiccata acidità che gli consente di arrivare tranquillamente a dicembre se non lavorata.

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